martedì 17 gennaio 2012

Il sessismo non è nella lingua ma nelle mentalità



Seguendo qualche  articolo del blog  27esima ora, sul Corriere della Sera, e sopratutto leggendo i commenti delle donne e degli uomini, se si regge a dare un' occhiata a tutti, si osserva un panorama di stereotipi mentali, fastidio e livore nei confronti delle modificazioni di linguaggi e ruoli sociali, in poche parole un rancoroso sessismo da parte di uomini e donne (meno), che individuano nel femminismo e nelle femministe le ragioni prime di molti mali del mondo.
Questi sentimenti sono espressi in tutti i post, che abbondano particolarmente quando si parla della lingua, allora diventa manifesto il fatto che che il  sessismo non è nella lingua, ma nelle mentalità di uomini e donne, che oppongono strenua resistenza al cambiamento, quando si tratti di correggere l'uso androcentrico della lingua,  pur  accettando serenamente trasformazioni linguistiche indotte da incroci con termini provenienti da altre lingue, gerghi, codici, sottocodici. 
Ma le resistenze ai cambiamenti di ordine sociale e culturale di un società sono destinate a essere vinte.
La lingua è un organismo vivente e collettivo che si evolve,  come si evolvono gli esseri viventi e i loro costumi. Non può rimanere come l’hanno creata nella notte dei tempi e come è stata tramandata, quindi  riflette ogni miglioramento che si verifichi nelle relazioni umane all'interno di una comunità di parlanti, ma può essere vero anche il contrario
L'obiezione più comune che viene opposta quando si propone di usare il linguaggio di genere, modificando così alcune storture sedimentatesi in secoli di asimmetria culturale e sociale tra uomini e donne, è che le parole da introdurre sono ridicole e scorrette, e che in questo modo si sconvolgerebbe la lingua italiana.
Così sindaca, pretora ecc. vengono considerate ridicolissime, ma non vedo perché dovrebbero essere più strane del corrispondente maschile. Il motivo è che, avendo avuto in passato poche o nessuna sindaca, ministra e pretora, non era stato necessario usare il femminile e perciò non c’è l’abitudine a sentirlo e le prime volte suona strano, quasi sgradevole. Più verrà usato, più diventerà comune e non susciterà più alcuna reazione.
Chi poi dichiara che le parole proposte sono grammaticalmente scorrette evidentemente non conosce la grammatica. Quello che è veramente scorretto è usare l’articolo o l’aggettivo maschile per un nome femminile e viceversa (es: la sindaco, il direttore Maria Bianchi), mentre è pleonastico aggiungere donna per specificare il sesso (es: scrittrice donna). 
Il femminile più corretto per la maggior parte delle parole è in -a, quello in -essa è stato usato quasi sempre in senso derisorio (es: deputatessa, vigilessa) e rimane accettabile -anche se non mi piace-  se è ormai entrato nell’uso senza alcun intento peggiorativo (es: professoressa); molte parole hanno il femminile in -ice ed è ugualmente corretto come la forma in -a (es: direttrice, autrice) e inoltre non ha né ha avuto intento peggiorativo; altre parole sono uguali al femminile e al maschile (parole epicene) ed è sufficiente anteporre l’articolo corretto (es: la presidente, la vigile, un’artista, un’atleta).
Quando poi sono le stesse direttrici, avvocate presidenti a pretendere il titolo al maschile,  si può senz'altro notare  che il maschile vale di più del femminile nelle mentalità di molte donne, oltre che di molti uomini, e quindi è considerato di maggior prestigio.
L'altra obiezione principe è che ci sono problemi ben più importanti di questi, che sono solo formali, come se l'ambiente della lingua, la base dell'ordine simbolico, non fosse  la nostra caratteristica di specie.

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